Raccontaci un pò la tua storia.
La mia carriera in un ristorante nasce
per caso da un’esigenza che nel tempo diventa mestiere, iniziando
il mio percorso professionale da addetto alla sala, dove servivo
piatti al tavolo e vini della cantina di cui ero responsabile. Una
passione, questa dei vini, nata e formata con la grande scuola di
Francesco Nicoletti, all’epoca presidente regionale
dell’Associazione Italiana Sommelier e maestro molto esigente, che
mi ha fatto amare il succo dell’uva insegnando con passione
assoluta tutta la conoscenza che c’era da sapere sui vini, oltre
l’importanza della qualità del servizio in sala. Dopo dieci anni
di esperienza di servizio e consulenza ai tavoli, i miei successivi
10 anni di studio e ricerca, applicazione e metodo tra i fornelli e
le attrezzature più innovative di una moderna cucina, mi hanno
portato a essere lo chef resident di un locale molto conosciuto,
apprezzato e ricercato nella nostra regione.
Se dovessi ideare un piatto da
presentare ad una competizione internazionale di cucina e potessi
scegliere di usare solo due prodotti tradizionali della tua regione.
Quali sceglieresti e perché ?
Di sicuro il profumatissimo pecorino
crotonese e la sfiziosa ‘nduja di Spilinga, da impreziosire in
abbinamento al limone di Rocca Imperiale e ad un ottimo vino Mantonico:
proprio come feci con successo qualche anno fa presentando un piatto
speciale in una famosa competizione nazionale, il Risotto del
Sommelier. Il perché, invece, può essere uno solo: la Calabria. Non
può esserci motivo migliore che presentare la nostra cucina e i
nostri prodotti nel mondo.
Raccontaci un aneddoto della tua
infanzia legato alla cucina calabrese.
Sono nato e ho vissuto nel centro
storico di Trebisacce, dove ogni giorno passavo il tempo giocando
felicemente con i miei coetanei. In alcuni giorni della settimana
notavo che gli adulti che giocavano a carte al bar della piazzetta si
alzavano all’improvviso per andare incontro ai pescivendoli con
l’intento di assaggiare la sardella fresca che portavano per la
vendita. Era uno spettacolo vedere come le loro mani, sino a pochi
istanti prima impegnate a tenere le carte, si impregnavano dei gusti
e degli odori di quel pesce, osservando e ascoltando le varie
contrattazioni del prezzo per accaparrarsi quel fantastico prodotto.
Nasce da lì la mia curiosità e amore per il pesce fresco, visto che
anche io ogni tanto riuscivo ad assaporare quella bontà, rimasta
negli anni nel mio cuore e nella mia mente e che oggi riporto con
passione nella mia cucina, convinto, come sono, che l’autenticità
dei sapori è alla base di ogni gusto.
Tuoi pregi e tuoi difetti.
Il mio miglior pregio è che sono bravo
(risposta con sorriso, ndr), mentre il mio peggior difetto è che
sono molto bravo (sottolineato con spirito autoironico, ndr). Battute
a parte, ritengo che il pregio per cui vado orgoglioso sia quello
della cura e dell’attenzione verso tutto ciò che faccio in cucina
e nel mio locale. Questo, però, a volte, diventa anche il mio più
grande difetto, perché esaspero questa mia pignoleria con studi e
attenzioni “maniacali”, non ritenendomi mai sufficientemente
soddisfatto del mio lavoro: questo, perché ritengo che si possa, e
si debba, fare sempre meglio.
Tu non nasci in cucina ma arrivi dalla
sala. Cosa comporta nel tuo modo di vivere la ristorazione ?
Penso che ogni ristoratore, così come
ogni chef, debba conoscere in modo diretto, partendo dal basso, l’importanza del lavoro di sala che, in definitiva, è l’avamposto di tutto ciò che si offre in un locale in quanto mette
in connessione l’aspettativa del cliente con la bravura dello chef
e con l’anima stessa del ristorante. Conoscere il senso di quanto
sia importante la sala fa crescere il valore distintivo di un locale.
C'è un piatto della tradizione
calabrese che hai rivisitato o che rivisiteresti in chiave moderna ?
Se si, quale ?
Baccalà con il fagiolo poverello di
Mormanno, rivisitato utilizzando la preparazione del baccalà in
sottovuoto con la tecnica dell’oliocottura, accompagnato da
un’emulsione di fagiolo poverello e da peperoni in osmosi. Un
procedimento che garantisce il mantenimento di un alto valore
nutrizionale della materia prima, in quanto con la cottura a 46 gradi
la proteina è stata già denaturata dal sale, lasciando un gusto
molto saporito alla materia utilizzata. In verità, devo confessare
che questa rivisitazione è il segno tangibile del processo di
innovazione con cui propongo la mia cucina, realizzata con
strumentazione all’avanguardia che esalta gusti e caratteristiche
organolettiche del prodotto utilizzato. La tecnica ha il suo valore
ma solo se si confronta con l’innovazione: in questo caso, ad
esempio, frullare il fagiolo poverello non serve solo a presentare il
prodotto in una veste diversa dalla solita con cui si presenta nel
piatto, ma serve a rendere più digeribile il legume, così da poter
essere apprezzato da tutti i palati.
In cucina ti definisci uno “chef
autodidatta” o altro ? Quanto contano nel tuo mestiere la
competenza e la specializzazione ?
La cucina è passione, ma è prima di
tutto studio e ricerca continua, dove l’esaminarsi continuamente
rappresenta l’elemento distintivo per migliorare le proprie
capacità tecniche e per offrire piatti sempre più gustosi e graditi
alla clientela. La cucina, specie quella italiana, è amore per la
propria terra e i suoi prodotti, ma soprattutto cultura del cibo e
del benessere a tavola. E cultura vuol dire studio e continuo
aggiornamento, nel sano confronto tra innovazione, sperimentazione e
tradizione.
Il tuo miglior primo piatto di pesce ?
Li amo tutti, perché mi rappresentano
in ogni aspetto del mio carattere. Se proprio dovessi indicarne uno,
parlerei del tagliolino con i crostacei del mar Ionio e il tartufo
del Pollino, perché esprime i luoghi in cui sono nato e cresciuto e,
poi, perché lo evolvo continuamente dal 2011, da quando è nel menù
del mio ristorante, con l’uso attento di grani antichi e con una
soluzione sempre più accurata dei prodotti che lo accompagnano.
Nel tuo ristorante si usa più il
cucchiaio o la forchetta ?
Senza dubbio la forchetta, perché la
varietà dei piatti che propongo illustrano un deciso e impegnativo
percorso del gusto da offrire a ogni cliente per un viaggio
esplorativo ed emozionale da far vivere a ogni pranzo.
Qual è il posto della Calabria che più
ti affascina e che consiglieresti di visitare ?
Il centro storico di Trebisacce, per la
sua bellezza e per l’autenticità dei luoghi e la spontaneità
delle persone. Una location in cui i visitatori possono scoprire e
assaporare i prodotti e i gusti di un tempo.
Regali una tua ricetta ai nostri
lettori ?
Vista la complessità della ricerca e
dell’applicazione dei miei piatti, la migliore ricetta che posso
regalare ai lettori di questa testata è quella che potrò insegnare
loro quando faranno visita al mio ristorante. Solo così potranno
eseguire bene uno dei miei tanti piatti, meravigliando poi a casa
quanti lo assaggeranno.