I 27 "masterpieces" (capolavori) entrati di diritto nella classifica delle Meraviglie della Calabria sono opere della natura o dell'uomo, "must", luoghi e monumenti assolutamente da non perdere; ed è solo una piccola selezione di ciò che vi attende nella nostra regione. In ordine alfabetico:
L'edificio, ideato da Gioacchino da Fiore e casa madre dell'omonimo ordine monastico, possiede alcune particolarità che ne fanno il prototipo dell'architettura florense nell'area mediterranea. La chiesa abbaziale, riconsacrata al culto nel 1988 dal cardinale Ugo Poletti, è ad unica navata e, dopo i restauri realizzati tra il 1938 ed il 1987, è tornata alla struttura originaria legata al gotico-cistercense. La navata centrale lunga ben 50 metri ed alta circa 18 metri risulta illuminata da 6 monofore. Il materiale di costruzione è pietra con alcuni ornamenti in granito silano. In corrispondenza del transetto si aprono a destra ed a sinistra le due cappelle laterali, ognuna della quali dotata di un proprio coro nella parte superiore. Il presbiterio è illuminato dalla luce che proviene dal traforo della parete absidale che simbolicamente rappresenta la trinità, così come disegnata da Gioacchino da Fiore nel suo Liber Figurarum. Al suo interno di conservano i seguenti dipinti: Effigie del Sacro Cuore eseguito da L. Giusti, la Sacra Famiglia, San Bernardo, S. Michele Arcangelo e la Madonna con San Vito e S. Lucia eseguiti da C. Santanna.
2 BATTESIMO DI GESU' SUL FIUME GIORDANO (Capistrano, Vv)
Nella chiesa di San Nicola a Capistrano, piccolo borgo montano della provincia vibonese, c'è un affresco raffigurante il "Battesimo di Gesù" che gli studiosi attribuiscono all'illustre pittore Pierre-Auguste Renoir. Oltre alle evidenti somiglianze stilistiche, le ipotesi traggono spunto dalla biografia dell'artista, scritta dal figlio Jean, noto cineasta, dal titolo "Renoir mio padre", nel quale viene riportato un resoconto del viaggio effettuato dal padre in Calabria intorno alla fine dell'Ottocento ("Giunto in un paesino sperduto tra gli ulivi"...."Non mi intendevo molto di affreschi; trovai dal muratore un pò di polveri colorate. Chissà se hanno retto…”).
3 BOS PRIMIGENIUS (Papasidero, Cs)
Una testimonianza rarissima della presenza di uomini nel paleolitico. Tale graffito, raffigurante un bovide, è situato in una grotta, denominata Grotta del Romito. Questa figura, lunga circa 1,20 metri, è incisa su un masso di circa 2,30 metri di lunghezza ed inclinato di 45 gradi. Il disegno, di proporzioni perfette, è eseguito con tratto sicuro. Le corna, viste ambedue di lato, sono proiettate in avanti e hanno il profilo chiuso. Sono rappresentati con cura alcuni particolari come le narici, la bocca, l’occhio appena accennato, l’orecchio.
I due celebri guerrieri bronzei, rinvenuti il 16 agosto del 1972 a Riace Marina da un giovane sub romano, su un fondale marino di 7/8 metri a circa 300 metri dalla costa. Realizzati nel V° secolo a.C., probabilmente, ad Atene da allievi del celeberrimo scultore greco Fidia o da Policleto. Le due statue, raffigurate nella posizione definita a chiasmo e conservate nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, sono considerate tra i capolavori scultorei più significativi dell'arte greca, e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell'età classica. Erano forse un voto di Milziade al tempio di Delfi, per celebrare la vittoria di Maratona e, trafugate secoli dopo dai Romani, naufragarono nel viaggio verso la Caput Mundi. Rappresentano l'ossessione greca per il corpo: inscrutabile, determinato e feroce, e le loro forme perfette rimandano più al mondo degli Dei che a quello umano. Furono messe in mostra dopo un lungo ed accurato lavoro di restauro compiuto dalla Soprintendenza Archeologica di Firenze.
E' questo uno dei castelli più celebri della Calabria, fortificato a difesa e situato sulla costa ionica cosentina, esattamente a Roseto Capo Spulico. La sua origine è medievale, probabilmente risalente al XIII° secolo, il suo maniero è composto da torri quadrate e cilindriche, baluardi, torrette e finestre monofore e bifore. Sono, inoltre, presenti scuderie, cortili, la cisterna, la cinta muraria e mura merlate. L'imperatore Federico II di Svevia (denominato lo Stupor Mundi) dette disposizioni per il restauro ed il consolidamento di questo castello e, secondo alcune fonti storiche, lo stesso avrebbe qui dimorato insieme al figlio Manfredi. In epoca borbonica appartenne alle famiglie Calà e Collice, prima di passare ai baroni Mazzario. Qualora stiate percorrendo il tratto calabrese della Strada Statale Jonica 106 (S.S.106) non potrete non essere tentati dal fermarvi nei pressi di Roseto e godere di una vista mare mozzafiato con in primo piano il castello.
Gemma architettonica risalente al X° secolo d.C., costruita interamente in mattoni ed in chiaro stile bizantino. E' uno dei fiori all'occhiello artistici della regione. Edificata a pianta centrale di forma quadrata con tre absidi semicircolari e cinque cupolette, di cui la più alta è la centrale, costituisce un insieme perfetto di decorazione geometrica fatto di colonne, archi e cupole. La sua architettura cubica, assimilabile alla tipologia della chiesa a croce greca, ricorda quelle della Georgia, dell'Armenia, dell'Anatolia o del Peloponneso. L'interno è diviso in nove parti di pari dimensioni da quattro colonne ed offre un gioco di luci ed ombre quasi innaturale. Le tre absidi: quella centrale (il bema) conteneva l'altare vero e proprio, quella a nord (il prothesis) accoglieva il rito preparatorio del pane e del vino, mentre quella a sud (il diakonikon) custodiva gli arredi sacri e serviva per la vestizione dei sacerdoti prima della liturgia. In particolare sopra l'abside di sinistra è posta una campana (di manifattura locale) del 1577, risalente all'epoca in cui la chiesa fu convertita al rito latino, che raffigura a rilievo una Madonna con Bambino. Un pezzo di colonna antica nell'abside prothesis, fu adibito a mensa per la conservazione dell'eucarestia, mentre le quattro colonne che sostengono le cupolette, poggiano su basi differenti, recuperate da epoca molto più antica. Infatti non è da escludere un eventuale uso della Cattolica come oratorio musulmano, come d'altro canto non è da escludere che le colonne possano essere state portate sul posto già incise. Nonostante le sue ridotte dimensioni, questa chiesa, abbarbicata alle pendici del Monte Consolino e dominante dall'alto il borgo di Stilo, è un luogo molto suggestivo ed assolutamente da non perdere.
Cosenza è forse l’unica città della Calabria che è riuscita a conservare tracce urbanistiche della propria storia. Nel suo fascinoso centro storico, posto in posizione dominante alla confluenza dei fiumi Crati e Busento, è possibile ammirare chiese antiche, palazzi storici, monumenti e caffè letterari. Caratterizzata da un dedalo di vicoli stretti, slarghi e piazze, "Cosenza vecchia" (così come viene definita dalla gente del luogo) è il risultato di un ininterrotto ciclo insediativo che trova origine nel IV° secolo a.C. Lungo il corso Telesio (la via principale) si trovano la Casa delle Culture, il Duomo e il Mam (Museo delle Arti e dei Mestieri), mentre su uno dei sette colli (il Pancrazio) svetta la sagoma del Castello Normanno-Svevo. Di rilievo anche la Biblioteca Nazionale, il Teatro di Tradizione Alfonso Rendano e i conventi di San Gaetano e San Domenico con le relative chiese. Sul colle Triglio, si trova Palazzo Arnone, ex sede del Tribunale, e del carcere, ora restituito all'antico splendore e trasformato in sede della Galleria Nazionale. Nel quartiere detto della Massa è ubicato il Museo dei Brettii e degli Enotri, un tempo Convento di Sant'Agostino, mentre nella Galleria di Santa Chiara sorge il Museo del Fumetto.
8 CERTOSA DI SERRA SAN BRUNO (Serra San Bruno, Vv)
Fu la prima certosa fondata in Italia da San Bruno (o Brunone di Colonia) tra la fine del XI° e l'inizio del XII° secolo su un terreno nei boschi delle Serre vibonesi ricevuto in dono dal re normanno Ruggero d'Altavilla; tale edificazione, dopo essere stata rasa al suolo il 7 febbraio del 1783 da un terribile cataclisma del nono grado della scala Mercalli, appare nella sua forma attuale dopo la sua ricostruzione avvenuta a fine '800 e presenta lo stile architettonico del neogotico, decorata dal famoso artista pizzitano Carmelo Zimatore. Nel 1994 è stato aperto il Museo della Certosa, ubicato all'interno del complesso, composto da venti ambienti e sviluppato su una superficie di circa 1200 metri quadrati. Dell'antico monastero sono ancora visibili oggi l'antico priorato, il piano della biblioteca, la sala del Capitolo, il refettorio, le cantine e i ruderi della chiesa e del chiostro con al centro una fontana del Seicento, il muro di cinta con i torrioni cilindrici, oltre ad altri elementi architettonici. Nella chiesa del monastero sono custodite, sopra l'altare maggiore, oltre al busto argenteo con il cranio di San Bruno, le sue ossa e quelle del suo successore Lanuino. Ancora oggi i Certosini conducono la loro vita di contemplazione nell'edificio religioso il cui accesso è interdetto ai visitatori al fine di preservare la clausura dei monaci.
A nord della cittadina di Pizzo, sulla spiaggia, c'è la Chiesetta di Piedigrotta con le sue arcate ed i suoi pilastri che aprono e sostengono la roccia di tufo scavata all'interno allo scopo di ospitare un luogo dedito alla preghiera. Il suo nucleo nacque in seguito ad un naufragio di un veliero con equipaggio napoletano, il cui comandante, che teneva nella propria cabina il quadro della Madonna di Piedigrotta, insieme con i suoi uomini fece un voto alla Vergine. In caso di salvezza, i superstiti avrebbero eretto una cappella al quadro miracoloso. Il veliero andò distrutto contro la scogliera di Pizzo, il carico, presumibilmente di corallo, perso negli abissi, ma tutto l'equipaggio col suo comandante toccarono riva sani e salvi, ed insieme con loro sulla spiaggetta, dove ora sorge la chiesetta, approdarono anche il quadro della Madonna e la campana di bordo, datata 1632. Alla fine dell'800, Angelo Barone, un artista locale, il cui lavoro fu poi proseguito dal figlio Alfonso, impiegò anni per ingrandire la grotta esposta alla salsedine e, al contempo, scolpire nella roccia decine e decine di statue di varie dimensioni che raccontano episodi del Vangelo e delle vite dei santi, tutte riunite intorno all'immagine consunta della Vergine.
Evangelario di straordinaria fattura bizantina, risalente al VI° secolo d.C., dalla sottilissima pergamena color porpora e proveniente dall'Oriente (probabilmente trasportato da alcuni monaci), scritto in oro ed argento e, oggi, conservato nel Museo Diocesano di Rossano Calabro. La riscoperta del "Codice Rosso", uno dei più antichi e preziosi codici cristiani, avviene a partire dal 1846, quando il giornalista Cesare Malpica scrisse di aver visto a Rossano "un tesoro in un libro antichissimo, che contiene gli Evangeli scritti in greco..."); nel 1880 iniziano, invece, gli studi sul Codex di due filologi tedeschi: Oskar von Gebhardt e Adolf von Harnack. Relativamente alla sua origine, alcuni sono dell'avviso che il luogo della realizzazione del codice miniato sia la Siria, in particolare la città di Antiochia, oppure un centro dell' Asia Minore, precisamente la Cappadocia o Efeso. Altri pensano ad Alessandria d'Egitto. I suoi 188 fogli sciolti (376 pagine), solo una parte del volume originale danneggiato, di circa 25 centimetri di larghezza per 30 di altezza, sono vergati in una stupenda grafia greca, con il testo, quasi integrale, dei Vangeli di Marco e Matteo ed una lettera di Eusebio da Cesarea a Carpiano; il testo, intervallato da 14 miniature ancora stilisticamente legate al mondo classico, è scritto su due colonne di venti righe l'una in lettere greche onciali argentee, mentre le prime tre righe dei Vangeli sono in oro. Le parole sono tutte di seguito, all'antica, senza spazi e mancano anche i segni di pronuncia, cioè spiriti e accenti. Il 9 ottobre 2015 il Comitato Internazionale dell'UNESCO, riunitosi ad Abu Dabi, ha decretato l’iscrizione del Codex Purpureus Rossanensis nel registro della Memory of the World.
Questa ultima colonna superstite è la testimonianza dell'esistenza del grande tempio dorico eretto nel V° secolo a.C. in onore di Hera Lacinia. E' situata in riva al mar Ionio, su un promontorio chiamato anticamente Lacinion nei pressi dell'antica Kroton, sulla punta più orientale della costa calabrese, in una posizione strategica lungo le rotte costiere che univano Taranto allo stretto di Messina. Il tempio vero e proprio aveva la classica forma dei templi greci: un imponente complesso di 48 colonne in stile dorico alte oltre 8 metri e costituite da 8 rocchi scanalati. Già nel '500, delle 48 colonne ne restavano solo due. Al santuario affluivano pellegrini italioti da tutto il golfo di Taranto e dalla costa del Bruzio. Le immense ricchezze del tempio, con il tetto coperto in lastre di bronzo e tegole in marmo pario e le scintillanti statue d'oro massiccio poste nell'interno, furono più volte saccheggiate da Annibale come dai Romani.
Tra i più suggestivi edifici di culto calabresi. La cattedrale di Gerace, nella sua versione attuale, può essere datata tra il 1060 ed il 1130. Importante per la fusione in essa realizzata tra cultura bizantina e normanna. Tre sono le absidi del tempio dedicato all'Assunta, delle quali la più antica è più arretrata rispetto alle altre. Per ammirare la sua austera facciata, in stile romanico con influssi lombardi, si passa per una corte, in cui si entra dall'ingresso laterale o dalla cripta. L'interno si presenta come un grande ambiente basilicale, a croce latina suddiviso in tre grandi navate che costituiscono il braccio più lungo della croce, separate da due file di dieci colonne, scanalate o lisce, in marmo policromo e granito, tutte diverse tra loro per qualità e dimensioni. L'altare maggiore, in stile barocco, è stato realizzato con marmi policromi dai fratelli catanesi Palazzotto e dall'artista messinese Amato. All'interno della cattedrale si trovano anche alcuni monumenti funerari, fra i quali il sarcofago del conte Giovanni Battista Caracciolo e la cappella gotica del SS. Sacramento del 1431, e numerosi arredi sacri, in parte custoditi nella suggestiva cripta bizantina, cui si accede dal braccio sinistro del transetto.
Queste straordinarie gole costituiscono un canyon lungo circa 17 km, con pareti di roccia alte fino a 700 metri, vasche e cascate; sono scavate dal torrente Raganello, le cui acque nascono ai piedi della Serra delle Ciavole, sul versante calabrese del Parco Nazionale del Pollino, fino a raggiungere un'area attigua all'abitato di Civita. Dal 1987 risultano nell'elenco delle Aree Naturali Protette della Calabria con una superficie di 1.600 ettari distribuiti tra i territori comunali di Civita, San Lorenzo Bellizzi e Cerchiara di Calabria. Il canyon del Raganello viene distinto dagli esperti in due parti: le Gole alte e le Gole basse. Questa galleria di sculture naturali mostra un ambiente spettacolare e offre l'habitat ideale per i grandi rapaci e per piante tipiche ed uniche. Migliaia sono i temerari che, ogni estate, si danno appuntamento per un’escursione lungo il corso del Raganello verso le viscere della terra. Ad oggi sono chiuse al pubblico.
Questa spiaggia di incantevole bellezza, incastonata nella roccia di granito e preceduta da un ampio arco creato dai due costoni che la racchiudono, sembra un luogo paradisiaco. Sulla spiaggia si apre anche la grotta dell'Arco Magno, all'interno della quale è presente una sorgente d'acqua oligominerale naturale dalle ottime qualità organolettiche. Immersi nel verde, tra il profumo del mare e quello della vegetazione, belle e lunghe distese di sabbia scura sono lì pronte ad accogliere il viaggiatore per una piacevole tintarella e qualche bagno rinfrescante e rigenerante. Alla “baia nascosta” si arriva, via mare, con piccole imbarcazioni o, a piedi, attraverso un sentiero scavato nella roccia. Se la passeggiata un pò disagevole non vi frena, vi aspetta un autentico angolo segreto.
Nel Golfo di Policastro, sulla costa tirrenica cosentina, si erge l'isola maggiore della regione, l'isola di Dino, teatro di battaglie, assalti ed incursioni, il cui nome richiama la storia di un antico insediamento della Magna Grecia. Poco meno di 50 ettari di lecci, mirto e rocce calcaree, con un perimetro di 4 km e con pareti scoscese che terminano in una serie di grotte. Il nome forse deriva dal fatto che sull'isola sorgeva un tempio (aedina) dedicato a Venere, oppure, ipotesi più accreditata, è quella che farebbe derivare il nome dall'etimo greco dina, ovvero vortice, tempesta. Infatti erano un tempo pericolose per i naviganti, in giornate di mare mosso, le acque prossime alla punta sud dell'Isola, detta Frontone. Oltre alla vegetazione della macchia mediterranea, si possono trovare numerose piante rare come la palma nana, accantonata sulle falesie verticali inaccessibili a nord ed a nord-ovest, il talittro calabro, il garofano delle rupi, e, in particolare, l'endemica primula di Palinuro. La fauna comprende molte specie di uccelli migratori, piccoli roditori e diverse specie di rettili. Scendendo nelle profondità del mare ci si imbatte nelle numerose castagnole, nella murene, nei polpi, in cernie e ricciole.
Presso questa località, le cui origini sono fatte risalire al passaggio di Annibale che vi avrebbe fatto costruire una torre di guardia, è situata un'antica fortezza aragonese (tra i simboli "turistici" più rappresentativi della Calabria) che spicca su un isolotto piatto collegato alla costa da un sottile lembo di terra. Costruita alla fine del XIII° secolo, oggi è l'unica rimasta nella baia. La fortezza venne rimaneggiata tra il 1510 ed il 1525 da Andrea Carafa; presenta un imponente complesso di muraglie merlate attorno ad un torrione circolare. Anche il suo interno è composto da elementi interessanti quali la grande sala riunioni, i pavimenti, la porta a mare, i resti della cappella con frammenti di affreschi ed il cammino della torre. Per comprendere meglio il significato del nome di "Le Castella", usato al plurale, occorre considerare che la tradizione popolare riferisce l'esistenza di molti altri castelli ubicati sulle isole prospicienti il litorale e sprofondati nei fondali marini. A rendere magica l'atmosfera di questo luogo sono certamente le suggestioni storiche che evoca: dalla presenza di Annibale agli assalti dei Turchi, dalle gesta di Ruggero di Lauria a quelle del feudatario Centelles che la potrà considerare uno dei più sicuri riferimenti difensivi e, infine, all'incredibile storia di Occhialì, il giovane di Isola fatto prigioniero dei Turchi durante lo sbarco del 1536 e diventato in seguito ammiraglio della flotta ottomana e re di Tunisi.
Intitolato allo storico sindaco reggino Italo Falcomatà e più esteso di un chilometro e mezzo, il Lungomare di Reggio Calabria risulta essere una delle vie più famose del centro storico reggino e, forse, della Calabria. Da qui quasi si toccano le coste siciliane. È costituito dalle quattro vie lungomare Falcomatà, lungomare Matteotti, corso Vittorio Emanuele III e viale Genoese Zerbi ed occupa l'area costiera compresa tra il porto ed il fortino. Abbellito da maestosi alberi di Ficus Magnolioides, straordinarie palme e specie vegetali variegate ed adornato da palazzi in stile liberty, tra i quali spiccano: palazzo Zani, palazzo Spinelli e villa Genoese Zerbi. È, inoltre, arricchito da elementi che, indirettamente, tracciano la storia della città quali: i numerosi monumenti commemorativi, una fontana monumentale ed alcuni siti archeologici a testimonianza dell'epoca greco-romana (tratti delle mura di cinta della città greca ed un impianto termale di epoca romana).
Il suo nome deriva da "cauca" che vuol dire vuota o scavata nel tufo; questo possente monolito, immerso nei fitti boschi di leccio e conservatosi perfettamente nel tempo, è situato sopra il borgo vecchio di Natile, nel territorio comunale di Careri, all'interno del Parco Nazionale dell'Aspromonte. Grazie ai suoi oltre 140 metri di altezza ed ai suoi 4 ettari di estensione risulta essere il monolito più grande d'Europa. Alla sua base si trovano i ruderi della Chiesa di San Giorgio ed è presente è un lastrone che determina interessanti effetti di chiaro-scuro. Nell'alto medioevo, in questa grotta ed in altre scavate nella roccia che si trovano tutte intorno, si rifugiarono gli eremiti basiliani, monaci provenienti dall'Oriente ispirati alle regole monastiche di San Basilio.
19 PARCO INTERNAZIONALE DELLA SCULTURA (Catanzaro, Cz)
Questo parco della scultura, primo nel meridione, ideato nel 2005 da Alberto Fiz, è situato all'interno di una vasta area verde di oltre 63 ettari adiacente al centro cittadino di Catanzaro. Si tratta di uno dei più significativi progetti di arte pubblica in ambito nazionale. Ospita più di venti sculture ed installazioni di arte contemporanea di artisti quali: Tony Cragg, Stephan Balkenhol, Wim Delvoye, Jan Fabre, Antony Gormley, Mimmo Paladino, Marc Quinn, Dennis Oppenheim, Michelangelo Pistoletto, Mauro Staccioli, Daniel Buren.
Il Musaba (Parco Museo Laboratorio Santa Barbara) è un museo all'aperto, improntato da un principio di presidio attivo, un vero e proprio parco scientifico con un programma di forte interattività, un parco laboratorio produttivo. Nel parco museo laboratorio si ha la possibilità, rara, di rilevare la presenza di differenti tipologie di presenze che sono state conservate e restaurate e che costituiscono un unicum di rilevante interesse ambientale nel quale convergono valori e testimonianze storiche dell'antica frequentazione di queste aree. Il vastissimo parco è così suddiviso: 7 ettari con le opere monumentali site-specific realizzate da Nik Spatari ed artisti internazionali (diventato uno tra i maggiori di Europa); l’acrocoro con il complesso storico in fase di restauro innovativo e l’ex chiesa del 1100 con l’opera monumentale tridimensionale “Il Sogno di Giacobbe” (250 mq); la nuova ala museale “Rosa dei Venti“; il MuSaBaArtHotel/Foresteria; i mosaici monumentali di archeologia musiva contemporanea (1000 mq) in progress nel chiostro e sulle pareti esterne della Foresteria concepiti dall’artista Spatari; l’ex stazione ferroviaria.
Situata a pochi chilometri da Rossano Calabro e dedicata a Santa Maria della Nuova Odigitria, oggi conosciuta col nome di Santa Maria del Pathire o semplicemente Pathire (nome che deriva dal greco patèr, in segno di devozione al suo padre fondatore San Bartolomeo da Simeri), la chiesa del Pathirion è ciò che resta di un cenobio basiliano del XII° secolo; di architettura normanna, ha all`interno uno splendido pavimento arabo. Fu centro culturale di grande rilevanza in quanto sede di un vastissimo patrimonio librario e di un importante scriptorium. Di quel magnifico complesso è oggi possibile ammirarne le vestigia architettoniche ed artistiche. La chiesa del Pathire, una volta annessa al cenobio, ha una pianta basilicale con tre absidi rivolte a oriente, elemento che lascia pensare sia stato edificata sopra una precedente chiesa bizantina. All'esterno la chiesa del Pathire è caratterizzata dalle tre grandi absidi circolari in stile arabo-normanno decorate da archi in mattoni e pietre tagliate in cui trovano spazio dei medaglioni con disegni geometrici bicolori. La facciata principale della chiesa del Pathire, invece, è caratterizzata da un portale in pietra con arco ogivale e due rosoni, dei quali il piccolo posto più in alto potrebbe essere più antico.
22 PINO LORICATO (Parco Nazionale del Pollino, Cs)
Il Pinus Leucodermis è un relitto dell'ultima glaciazione e sopravvive quasi esclusivamente sul massiccio del Pollino, in Calabria. Rappresenta la testimonianza eccezionale di grandiosi mutamenti climatici. Simbolo del Parco Nazionale del Pollino, questa rara ed antichissima specie arborea, della famiglia delle Pinacee, si può osservare abbarbicata in zone aspre ed impervie del massiccio oppure sulle vette più accessibili di Serra delle Ciavole e di Serra di Crispo. Proprio in quest'ultima area esiste un luogo che la fantasia popolare ha denominato Giardino degli Dei. E’ un luogo speciale e di bellezza indescrivibile, costituito da un’aspra dorsale calcarea, dove, da tempi immemori, vegeta una comunità di pini loricati che formano un singolare parco alberato. I suoi rami ed il suo tronco contorto sono di color grigio chiaro, i suoi aghi verde cupo; la sua corteccia presenta ampie scaglie dando al tronco un aspetto simile alla lorica squamata, il corpetto a scaglie metalliche che veniva indossato da alcune categorie di legionari dell'antica Roma, da cui il suo nome. L'albero può raggiungere dimensioni di 20-30 metri di altezza ed un'età di 800-900 anni.
Questo antico rione di pescatori (non imbalsamato a scopo turistico, ma che ancora vive dell'attività della pesca !!) si snoda per 400 metri in una stretta fascia tra la montagna e il mare. Stretti vicoli, basse case, ripide scalette che si arrampicano sino al castello di Scilla e dappertutto la vista ed il profumo del mare. Barche al posto delle auto, un porticciolo turistico e le “passerelle”, le barche per la pesca del pescespada con antenne di oltre 20 metri. Le case sono letteralmente sul mare e da ogni vicoletto potrete immergervi in un mare limpido con una sottostante prateria di posidonea. Ogni scoglio, ogni anfratto ha una storia e una leggenda. Le basse case hanno quasi tutte il "bizzolo", il gradino su cui sedersi a chiacchierare. E’ vero occorrono dieci minuti per percorrere Chianalea, ma potreste impiegarci ore se incantati dagli innumerevoli dettagli e dalle sue evidenti bellezze che spuntano ad ogni angolo e dallo spirito dei pescatori intenti nel loro lavoro a sbrogliare una rete o ad innescare gli ami di un palangaro.
24 SANTUARIO SANTA MARIA DELLE ARMI (Cerchiara di Calabria, Cs)
Fu edificato nel XV° secolo attorno ad un romitorio italo-greco, poi diventato un Monastero e restaurato per opera dei Marchesi Pignatelli nel XVII° e nel XVIII° secolo. Questo santuario, posto a 1015 metri sul livello del mare, è composto da una serie di costruzioni allineate contro la robusta parete del monte Sellaro alla cui estrema destra c'è la chiesa, che penetra nella roccia per vari metri, alla quale si accede attraverso un porticato rettangolare con 4 arcate romaniche. Nella parte estrema, sulla rupe, svetta un campanile con la cuspide ricoperta di formelle policrome. L'interno del Santuario ha una forma irregolare, con una navata centrale e la Cappella secentesca dei Pignatelli. La volta a botte è affrescata da la Gloria della Vergine e dal Giudizio Univarsale di Joseph De Rosa del 1715. Nella cappella della Madonna è custodita l'icona della Madonna delle Armi, un graffito su pietra scura raffigurante la Madonna col Bambino, alla maniera bizantina. La festa principale di celebra il giorno di Pentecoste. Il 25 aprile si svolge una festa votiva.
Uno dei simboli e degli scenari più rappresentativi di Tropea e della Calabria nel mondo è quello della rupe sulla quale si eleva il santuario di S. Maria dell'Isola fatto costruire in stile medievale dai benedettini. Il suo nome deriva dal fatto che la rupe era, originariamente, interamente circondata dal mare, mentre in seguito si sarebbe saldata al continente, diventando promontorio. La chiesa fu consacrata nel 1397, come è ricordato da un'epigrafe incisa a caratteri gotici su una lastra marmorea ancora al suo posto all'interno del Santuario. L'attuale fisionomia dell'edificio risale al dopo terremoto del 1905. La chiesa di Santa Maria è stata elevata a Santuario Diocesano da mons. Domenico Cortese il 31 maggio del 2002. La festa principale si celebra il 15 agosto.
La Stauroteca, un tempo chiamata la "Croce Bizantina" o la "Croce di Federico", è la preziosa croce reliquiario, opera di orefici palermitani, donata da Federico II° di Svevia alla città di Cosenza in occasione della riconsacrazione del Duomo il 30 gennaio del 1222. Consta di due facce: quella posteriore presenta il Cristo Crocifisso con la Vergine e S. Giovanni Battista rispettivamente a sinistra e a destra, in alto l’Arcangelo Michele e in basso un altare con i simboli della passione della celebrazione eucaristica e l'iscrizione "HC-TA" (la crocifissione); quella anteriore raffigura in alto, in basso, a destra e sinistra i quattro evangelisti seduti ed intenti a scrivere i propri Vangeli, al centro il Cristo Pantocratore assiso in trono e in basso è visibile un incavo cruciforme contenente un frammento della Croce di Gesù. La sua struttura interna è in legno d'acero ed è preziosamente rivestita in oro, filigrana a vermicelli, smalto e pietre preziose, mentre la base che la sostiene è in argento dorato di stile "flaboyant" ed è databile nella seconda metà del XV° secolo. Fa parte del “Tesoro della Cattedrale” conservato nel Museo Diocesano di Cosenza. Viene utilizzata per il consueto bacio della Croce nel pomeriggio del Venerdì Santo in Cattedrale alla presenza dell’Arcivescovo.
Durante scavi effettuati nel biennio 2003-2005 all'interno del Parco Archeologico del Cavallo (esattamente in località Casa Bianca), a Sibari, è stata rinvenuta una statuetta bronzea risalente al IV° secolo a.C. raffigurante un toro nell'atto di cozzare. L’immagine del toro era particolarmente diffusa a Sibari, in quanto appariva come effigie nella monetazione: simbolo di fertilità per la sua capacità riproduttiva, sotto le sue sembianze i Greci rappresentavano i fiumi con le loro acque portatrici di vita, e per questo è plausibile che i Sibariti con il toro alludessero al loro fiume Sybaris. La statuetta è ritenuta, insieme ai Bronzi di Riace, una delle scoperte più importanti per la bronzistica del periodo magnogreco, ed ,oggi, è esposta nelle sale del Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide.