Le città fantasma sono quelle località, un tempo abitate, che sono state abbandonate a seguito di calamità naturali o
di migrazioni, dall'intera popolazione, e i cui edifici sono in
rovina. In Calabria, regione altamente interessata da fenomeni di dissesto idrogeologico e da una forte propensione all'emigrazione, vari sono i borghi fantasma meritevoli di essere visitati da curiosi, appassionati di storia od
amanti del brivido:
IL BORGO ANTICO DI LAINO CASTELLO
Di ricostruzioni ex novo e, quindi, di trasferimenti di interi abitati da un luogo ad un altro a seguito di terremoti, frane, nel tempo ce ne sono stati più di uno in Calabria, ma la storia della ricostruzione di Laino è tutta particolare nella sua normalità, anche perchè contiene in sè il nucleo dell'eterno confronto che fa da vero snodo all'evolversi della cultura calabrese, in senso lato, quello fra aspirazione al nuovo e al moderno e l'attaccamento al vecchio, all'antico. Nel 1958 un muro venne giù, seppellendo la Fiat 600 del medico condotto, e i maggiorenti del paese enfatizzarono l'episodio della "frana" fino ad assumerlo quale sintomo dell'instabilità dell'intero centro abitato. Negli anni a seguire l'idea di ricostruire l'intero abitato altrove, in un luogo in piano e più al sicuro da frane e terremoti, si fece sempre più strada, via via mobilitando esperti, tecnici e progettisti, anche senza l'approvazione di tutti i cittadini (che rimasero volontariamente ad abitare nella Laino "vecchia") e, realizzando a singhiozzo ora una casa, ora una strada, ora un edificio pubblico, si arrivò al 1982, quando, grazie ai finanziamenti del post-sisma lucano ottenuti per la ricostruzione delle due Laino, andò definitivamente in porto il progetto della nuova Laino Borgo secondo un impianto urbanistico moderno ed arioso. E, allora, quando fu interrotta d'autorità l'erogazione di luce e acqua, dovettero arrendersi anche gli irriducibili, che si consolarono solo tornando sporadicamente alle loro vecchie case per rassettarle, per zappettare l'orto, adacquare le "graste" del basilico e dei garofani sui davanzali. Oggi il vecchio abitato (o meglio disabitato), dopo aver subito vandalismi e spoliazioni, è sempre là, stabilmente all'impiedi, ed ogni anno vi si fanno svolgere diverse manifestazioni, fra cui, il presepe vivente.
CIRELLA VECCHIA
Situati a 172 metri sul livello del
mare, sono i resti del nucleo abitativo di Cirella, la città
“distrutta tre volte”, sorto all’incirca tra la metà del IX°
secolo e gli inizi dell'XI° secolo d.C. e cessato di esistere nel
1808, anno in cui il suo parroco Francesco De Patto, per ultimo,
lasciò la Cirella collinare e “pazientemente se ne scese, cogli
arredi sacri, alla sua Chiesa suffraganea di S. Maria dei Fiori, alla
Cirella nuova del Porto” La memoria orale e numerose fonti scritte
attestano invasioni e devastazioni turchesche, spiega lo studioso
Vito Teti. Una distruzione della città (la seconda dopo quella
attribuita nell’antichità ad Annibale, che avrebbe punito la
fedeltà di Cirella, costruita dai Greci, a Roma; la città poi
sarebbe stata ricostruita dopo le Guerre puniche) è attribuita al
pirata turco Dragut Rays. Sarebbe avvenuta il 2 agosto del 1569.
Secondo una tradizione orale, ripresa e riproposta da diversi
studiosi locali, i saraceni rapirono la figlia del torreggiano
dell’isola, costringendolo a non segnalare il loro arrivo. La
bellissima donna fece voto alla Madonna dei Fiori di Cirella e venne
risparmiata, ma la città fu invece distrutta, devastata; uomini e
donne, in tutto settantadue persone, rapiti. “Della vecchia Cirella
resta la leggenda della distruzione ad opera di formiche rosse
giganti che avrebbero mangiato tutti i suoi abitanti. I luoghi hanno
una fondazione mitica, ma anche una distruzione mitica. Anche le
immagini di distruzione hanno, tuttavia, un loro fascino e diventano
elemento caratterizzante dell’appartenenza” (V.Teti).
Il borgo medievale di Fantino, è la
frazione più antica di San Giovanni in Fiore. Un tempo è stata
certamente la frazione più popolosa e grande. Negli anni '60 contava
oltre 800 abitanti che costituivano così, un vero e proprio paesino.
Il borgo risale al 1600 e si è sviluppato alle pendici del monte
Gimmella. Si narra che il primo fondatore del villaggio fu un
pastorello di Pedace. Il borgo si è poi sviluppato in una zona
fortemente scoscesa e ripida, dalla quale si può ammirare la vallata
di Iannia. Dopo il periodo di maggiore crescita, culminato negli anni
'60, il paese cominciò a subire un lento ed inesorabile declino, che
lo portò al completo abbandono nella seconda metà del 2000. Il
villaggio si è sviluppato in un luogo certamente ameno ma ricco di
vegetazione e dal clima mite e favorevole a molte coltivazioni quali
la vite e l'ulivo, e nel quale era molto diffusa la pratica della
pastorizia ovina. Posto fra il paese di San Giovanni in Fiore e di
Caccuri, lungo la vecchia strada interpoderale che collega i due
paesi, sino al 2001 vi abitavano 29 persone e tutte anziane, mentre
oggi conta solo 4 abitanti. Il vecchio borgo si anima solo per un
giorno all'anno, in occasione della festa patronale di San
Giuvanniellu, quando i vecchi proprietari, e soprattutto i nipoti dei
vecchi proprietari, riaprono le case facendo rivivere il paese.
Di origini antichissime, il paese si
sviluppo e prosperò per molti secoli. Raggiunse la popolazione di
7.000 abitanti, ma a seguito di alcune epidemie e di eventi
calamitosi cominciò a subire forti emigrazioni da parte della stessa
popolazione. La peste del 1528 arrivò a dimezzarne la popolazione
poiché alle numerose vittime si sommò una forte emigrazione verso i
vicini paesi di Caccuri e San Giovanni in Fiore. La popolazione scese
drasticamente fino a raggiungere poche centinaia di abitanti. Nei
secoli successivi, due terremoti ne decretarono la fine. Il primo nel
1638, che portò ad un'altra consistente emigrazione dopo che il
paese era ritornato a ripopolarsi. Il secondo nel 1783, uno dei
peggiori terremoti che la Calabria ha subito nel corso dei secoli,
che fu talmente catastrofico per quanto riguarda la distruzione
urbana della cittadina di Acerenthia, da far decidere a molti
abitanti di edificare un nuovo paese sul colle che si stagliava sopra
il vecchio abitato, anziché provvedere a ripristinare e restaurare
le vecchie case del borgo. Nel 1844 l'antico borgo venne
definitivamente abbandonato e gli abitanti rimasti si trasferirono
nel nuovo centro urbano che prese il nome di Cerenzia. Dopo
l'abbandono, l'antico paese subì un veloce e progressivo degrado
sicuramente accelerato dalle condizioni climatiche silane. Le
abitazioni e tutti gli edifici, oggi, dopo solo un secolo e mezzo di
abbandono, si presentano come antichi ruderi, questo anche perché
furono utilizzati come materiali per le costruzioni, argille e pietre
calcaree del luogo, nel tempo rivelatisi poco durevoli.
BRIATICO ANTICA
Briatico Antica fu devastata da un terremoto nel 1783, i suoi impressionanti resti si trovano sopra una collina. Qui è come entrare in una cittadina all'indomani di un sisma, dove tutto è rimasto intatto. Notevoli sono i resti del Castello normanno-svevo, di varie chiese, delle torri difensive e di tratti di selciato.
PAPAGLIONTI VECCHIO
Questo è un borgo incantato, ancora quasi intatto dopo l'abbandono del 1982. E' emozionante esplorarne le case abbandonate, la chiesa di San Pantaleone, la piazza, una bella fontana con lavatoio ed un antico frantoio. Sulla collina merita poi una visita la Grotta di Trisulina, una delle più importanti strutture di epoca romana dell'area.
AFRICO VECCHIO E CASALINUOVO
Fondato nel IX° secolo col nome latino di "aprìcus" che significa "soleggiato", Africo Vecchio è ciò che rimane di un tranquillo paese, tutto costruito in pietra, che nel 1951 si spopolò a causa di una di terribile alluvione che provocò morti ed ingenti danni materiali; la stessa sorte toccò alla frazione di Casalinuovo e gli abitanti dei rispettivi centri, dopo essere stati costretti a lungo a vivere in campi profughi, scesero dai monti per fondare, con il nome di Africo, un nuovo paese situato a breve distanza dal mar Jonio. La realtà di Africo è quella di una
vita dura e aspra quasi ai confini della realtà. Una storia di
uomini, donne, anziani e bambini, casolari e ricoveri per le bestie,
vette innevate e dirupi profondissimi. Quello che porta dal borgo di Africo Vecchio a
Casalinuovo (meglio conservato rispetto al primo) è un itinerario affascinante non solo per gli amanti del
trekking e della natura ma anche per chi volesse comprendere l'intimo
legame che ancora oggi lega la gente di Africo a questa terra.
ROGHUDI
Il borgo di Roghudi Vecchio, costruito su uno sperone di roccia ed abitato sin dal 1050, a seguito delle due fortissime alluvioni avvenute nell'ottobre 1971 e nel gennaio 1973, fu dichiarato totalmente inagibile. Siamo nel cuore dell'area grecanica dell'Aspromonte. Qui l'ambiente è caratterizzato da ripidi versanti montuosi che precipitano nella fiumara dell'Amendolea, una gola profondissima, quasi un canyon. Gli abitanti si sono spinti più a valle (a circa 40 km di distanza) e, oggi, questo antico borgo è solo popolato da qualche pastore che, come in passato, attraversa le vie con il suo gregge. Riportando una citazione di Tommaso
Besozzi, viene riferito che a metà del Novecento erano presenti nel
paese grossi chiodi conficcati nei muri delle abitazioni dove
venivano fissate corde legate alle caviglie dei bambini, per evitare
che questi precipitassero nel burrone che circondava l'intero
abitato.
BRANCALEONE SUPERIORE
Incuneato tra le prime balze dell'Aspromonte, l'antico borgo di Brancaleone Superiore fu feudo di nobili famiglie di Calabria come gli Scalea e i Ruffo. Oltre alle case silenti, sulla rupe ci sono i resti della chiesa della Madonna dell'Annunziata, del Castello e, in cima a tutto, si scoprono le grotte dove si rifugiavano gli eremiti, note col nome latino di sperlonghe.
Suggestivo e perfettamente conservato è
il borgo di Pentedattilo, arroccato sulla rupe del Monte Calvario dalla caratteristica forma a
cinque dita (da cui prende il nome), a 250 metri d'altezza s.l.m. e
situato alle spalle di Melito Porto Salvo, piccolo comune della
provincia di Reggio Calabria. Di origine calcidese, la località subì nei secoli diverse dominazioni (romani, bizantini, normanni) fino a divenire feudo degli Alberti per più di un secolo e mezzo (fino al 1760), poi toccò ai Clemente e, successivamente, ai Ramirez. Nel 1783 Pentedattilo fu gravemente
danneggiato da un devastante terremoto e, in seguito al sisma, iniziò
un costante flusso migratorio verso un paesino vicino che perdurò
sino al periodo risorgimentale; proprio a causa dello spopolamento
nel 1811 il comune fu trasferito a Melito Porto Salvo e Pentedattillo
ne divenne frazione. A metà degli anni cinquanta il paese fu
completamente abbandonato a causa della mancanza di approvvigionamento idrico, fino ad essere (intorno alla fine degli anni '90) riscoperto da giovani e da associazioni. Iniziò così un lento cammino
di recupero ad opera di volontari provenienti da tutta Europa.